Sembra ormai lontano il periodo in cui la crisi argentina colpì l’economia argentina, esattamente tra la fine degli anni novanta e l’inizio del decennio successivo. Il PIL iniziò a diminuire nel 1999 e finì nel 2002 col ritorno alla crescita del PIL, ma gli effetti sulla popolazione continuarono a palesarsi anche dopo la crisi. Nel 2001 si verificò in Argentina una massiccia fuga di capitali e il governo fu addirittura costretto a “congelare” di tutti i conti bancari per la durata di 12 mesi, rendendo possibile unicamente il prelievo di ridotte quantità di denaro, per evitare una consistente fuga di denaro dal Paese.
In quel periodo fecero la propria comparsa i bond argentini ma il governo non riuscì far fronte al pagamento di queste obbligazioni a singoli cittadini, organizzazioni private, e in generale a tutti gli investitori che investirono in questi titoli di Stato. Negli anni successivi alla crisi l’Argentina si impegnò in procedure economiche nel tentativo di annullare, o almeno limitare, il danno agli investitori. L’ultima vittoria in merito giunge da un caso risolto con successo dalla sezione di Prato, relativo a un acquisto avvenuto nell’agosto 2001, cioè pochissimi mesi prima del fallimento dell’Argentino. Il Tribunale di Prato ha condannato una banca a risarcire del capitale perduto (10 mila euro) più gli interessi e le spese legali, due giovani risparmiatori.
Dopo dieci anni, è in scadenza il termine per citare in giudizio le banche responsabili del collocamento di quei buoni del tesoro: per l’ occasione il Codacons lancia una manifestazione dal titolo «Ultimo tango in banca», scatterà infatti il prossimo 24 dicembre la prescrizione. Lo sconforto di chi è stato truffato è molto, ma la possibilità di rivalersi contro gli intermediari finanziari non é finita. L’Argentina, a seguito dell’impugnazione del suo debito, ha istituito una particolare modalità di finanziamento del debito pubblico: i warrant, ma recentemente ha dichiarato un altro default sui titoli.
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