La questione non si trova in nessun programma elettorale eppure l’importanza di internet ed il relativo superamento del digital divide è una priorità per l’Italia pari al ponte sullo stretto, alla Tav o al completamento della Salerno-Reggio Calabria. L’allarme è stato lanciato ieri da Paola Manacorda che lascia intendere che tutto quello fatto fino ad oggi non basta a garantire a cittadini e imprese una copertura adeguata ed uniforme delle linee di connessione ad alta velocità. La Manacorda ha detto:”La tecnologia Wi-Max e la possibilità di attivare accessi wireless a lunga distanza, in quest’ottica, sono solo un primo passo, ma per dare un sostanzioso impulso alla competitività del Paese e alla coesione sociale, occorre una regia forte per far convergere un mix di investimenti tra pubblico e privato volto alla costruzione di nuove reti per una banda veramente larga.”
Preoccupazione è stata sollevata anche dal commissario europeo Viviane Reding che ha richiamato le autorità italiane circa i ritardi cronici inaccettabili per quanto riguarda la diffusione della banda larga. La penetrazione della banda larga nel nostro Paese è cresciuta al 17%, ma resta comunque al di sotto della media Ue del 20% pagando la mancanza di infrastrutture e il ruolo “ingombrante” di Telecom Italia, che lascia agli operatori alternativi una quota di mercato del 35,2%.
In Europa trainano la situazione paesi come la Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia sono invece gli Stati più virtuosi, con punte di penetrazione alla fine del 2007 intorno al 30%, rispetto al 22,1% degli Stati Uniti (di cui fanno meglio anche Regno Unito, Belgio, Lussemburgo e Francia). La Reding, in proposito, ha fatto notare come via sia ancora poca concorrenza nella fornitura di servizi di fonia su rete fissa, nell’86,5% dei casi l’utente vi accede attraverso l’infrastruttura dell’operatore ex monopolista (la percentuale sale sopra il 95% in 12 Stati membri), e come i servizi di rete fissa (voce e connettività Internet) siano confinati di fatto su scala locale, con solo il 30% delle attività dei principali operatori volto al di fuori dei rispettivi mercati di appartenenza.