Il mercato delle materie prime, negli ultimi mesi, ha visto un ribasso notevole delle quotazioni del caffè, e ciò comporterà un aumento del prezzo già dal prossimo 1° novembre nei bar della capitale. Molti bar di Roma hanno, difatti, ricevuto una lettera dell’associazione torrefattori con cui si annunciano pesanti rincari, dovuti ad un aumento all’origine della materia prima di circa il 40 %, inoltre bisogna pensare che il caffè è anche un prodotto che da solido si trasforma in liquido, comportando un grande dispendio di corrente elettrica. La classica tazzina di caffè costerà agli italiani 1 euro tondo tondo, prezzo già applicato in alcuni esercizi prestigiosi del centro storico, mentre al Nord Italia il caffè già da anni ha un costo medio che va da un euro a un euro e mezzo. Si è cercato di trovare alcune giustificazioni a questo aumento, come ad esempio il fattore “importazione”; spesso il caffè proviene da Paesi molto lontani, e la cosa comporta costi aggiuntivi abbastanza pesanti per i torrefattori sin dall’origine.
Da novembre, quindi, sembra proprio che questi aumenti ci saranno e che si ripercuoteranno pesantemente sul consumatore. Non tutti, però, verranno coinvolti nella faccenda. Tanti sono i titolari di esercizi pubblici che stanno pensando seriamente se alzare o meno il prezzo di un caffè, dal momento che questo è un bene consumato quotidianamente, come il pane, ragion per cui stanno vagliando l’ipotesi di innalzare solo il prezzo della tazzina da caffè servita al tavolo, mantenendo ferma la loro posizione di non andare oltre gli 80 centesimi per il caffè al bancone. A Roma, il prezzo del caffè al bar si aggira ancora fra i 70 ed i 90 centesimi in centro ed in periferia. Il Centro per i Diritti del Cittadino (Codici) chiede che venga posto un freno questo rincaro. Si pensa che molti abbiano voluto speculare sui prezzi al dettaglio a danno dei consumatori.
Codici ha calcolato infatti che, se un chilogrammo di caffè costa all’esercente 15 euro circa, servendo ben 116 tazzine a un costo medio di produzione pari a 0,09 euro, aggiungendo ipoteticamente 0,16 euro per la manodopera e 0,06 euro a tazzina per i costi fissi come zucchero ed usura della macchina, all’esercente una tazzina di caffè costerebbe 0,31 euro, per cui, vendendolo al consumatore ad 1 euro a tazzina, viene applicato un ricarico superiore al 200%. Anche a 0,85 euro, comunque, il ricarico è superiore al 170%. Vi sembra giusto? A rimetterci è sempre il solito, povero consumatore.
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